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Roberta Metsola al Parlamento Europeo è la prova che una donna non vale l’altra

Chi è Roberta Metsola, nuova presidente del Parlamento Europeo

"Le donne" non sono un mazzo da cui poter pescare qualsiasi carta tanto fa lo stesso, nella partita della politica il loro valore è sempre uguale (cioè pari a zero).

Eccola, finalmente ce l’abbiamo. “Una donna” è riuscita nella scalata, è arrivata fino ai vertici di un’istituzione importante come il Parlamento Europeo e ora può andare a braccetto con “un’altra donna”, Ursula Von Der Leyen, e permettere alle femministe di tutta Europa di esultare perché finalmente “le donne” hanno preso ciò che spetta loro. Ora, con questa vittoria così fresca, si aggiunge qui in Italia, è ancora più lampante che serve “una donna” anche al Quirinale. Oppure no?

L’elezione di Roberta Metsola come successore di David Sassoli, prematuramente scomparso per le conseguenze di una polmonite, ha fatto discutere ancor prima che la scelta diventasse ufficiale. Il motivo? Le sue dichiarate posizioni antiabortiste.

Ebbene sì, anche “una donna” può essere contro l’aborto, anche “una donna” può votare contro quelli che “le donne” definiscono come i loro diritti fondamentali, anche se nel suo discorso alla stampa dopo l’insediamento all’Europarlamento ha assicurato che sul tema promuoverà le iniziative della maggioranza dell’emiciclo. Insomma, terrà le sue idee e le sue battaglie anti-aborto per sé e per Malta. Anche “una donna” può andare contro le altre donne, quelle polacche, per esempio, o quelle del Molise dove c’è solo un medico non obiettore.

Metsola è la prova vivente che “le donne” non sono una categoria generica e indistinta, un mazzo da cui poter pescare qualsiasi carta tanto fa lo stesso, nella partita della politica il loro valore è sempre uguale (cioè pari a zero).

È la dimostrazione che non tutte “le donne” sono a favore del diritto all’aborto, quindi chissà su quanti altri temi non sono unite. Certe tematiche sono divisive e fanno discutere e combattere a prescindere dal sesso, perché sono questioni che toccano corde più profonde, corde che abbiamo tutti, maschi e femmine, e che hanno a che vedere non con il nostro genere (di nascita o in cui ci riconosciamo) ma con le nostre convinzioni più intime e radicate. Convinzioni che nascono con noi o che si sviluppano nel tempo grazie alle esperienze che viviamo, alle persone che incontriamo, alle clima sociale, politico e culturale in cui cresciamo, a volte ai traumi che subiamo e alle pressioni che riceviamo.

Metsola, insomma, non è certo Emma Bonino. E allora anche da noi, in Italia, dove sta per concludersi la corsa al Quirinale, Rosy Bindi non è Elisabetta Alberti Casellati, Liliana Segre non è Marta Cartabia, e così via. E non perché una valga meno dell’altra ma perchè ogni donna non è semplicemente “una donna” ma – grazie al cielo – perché, al pari dei suoi colleghi uomini, ha pregi e difetti, idee e convinzioni, battaglie in cui crede e altre a cui è contraria. Può essere di valore – politicamente parlando – o neutra se non addirittura dannosa, se messa lì, al Quirinale, solo come controfigura, come cartonato per rappresentare “le donne” e permettere a tutti, donne e uomini, di barrare la casella del “abbiamo anche noi una donna Presidente, ora sì che siamo un Paese civile e progressista, ora sì che possiamo vantarci anche in Europa e nel mondo”.

E allora smettiamola di dire che al Colle è arrivato il momento per “una donna”, una qualunque.