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Sarr, la fuga dal Senegal: "Il viaggio non è una pacchia"

fuga dal Senegal

"Mi avete salvato e accolto, ma il viaggio non è una pacchia", il racconto di Sarr, senegalese fuggito dalla sua terra

E’ toccante e di profonda ammirazione. E’ la storia di Sarr e della sua fuga dal Senegal al tarantino. Si dice eternamente riconoscente nei riguardi nel nostro Paese. A casa sua lo volevano morto. Le sue dichiarazioni riaccendono la polemica dal forte eco salviniano. Il viaggio dei migranti, ha raccontato, non è una pacchia. Tuttavia, ha desiderato dare un consiglio ai tanti migranti che come lui cercano salvezza in Italia. “Fate i bravi e cercate di integrarvi”. Poi la richiesta: “Posso chiudere l’intervista con una frase di Jean Jacques Rousseau? ‘La libertà non consiste tanto nel fare la propria volontà quanto nel non essere sottomessi a quella altrui'”.

La fuga di Sarr

“Quella sera ho guardato mia mamma negli occhi e le ho detto: se non ti chiamo vuol dire che sono morto. E’ l’ultima volta che l’ho vista, poi sono scappato”. Sarr Doudou, 29 anni, ha raccontato la sua storia a Tgcom24. La voce rotta dall’emozione nel rivere la vicenda che più lo ha segnato. Porta i segni sulla sua pelle, i ricordi sono nitidi nella sua mente e riaffiorano frequentemente. Sono passati molti mesi prima che potesse comunicare alla madre per telefono quel “ce l’ho fatta” che significava una nuova vita, lontana dal suo Paese ma anche dall’incubo di essere ucciso.

Sarr viene dal Senegal, uno Stato africano la cui provenienza non garantisce la protezione internazionale. Perché, ufficialmente, in Senegal non c’è alcuna guerra. E invece anche lì si combatte un conflitto civile per una regione che si chiama Casamance, dove i ribelli del Movimento delle forze democratiche di Casamance cercano dal 1982 di separarsi dal governo di Dakar. Dietro al conflitto, ragioni che affondano le radici nel colonialismo. In quell’imponente politica europea ed eurocentrica che ha suddiviso a tavolino, angolo per angolo, ogni stato del continente nero. Da allora, tra trattati di pace e incursioni armate, si susseguono stragi che mietono vite, in un susseguirsi imprecisato di morti e feriti. Sarr veniva proprio da quella regione.

La vita in Senegal

“Studiavo Letteratura e lingue all’Università di Dakar. Era il 2014. Lì formammo un’associazione per sensibilizzare le persone contro questa stupida guerra civile. Non volevamo che il Senegal si dividesse. Io ero il portavoce del movimento”.

Quindi ha spiegato ai più una notizia da noi mai giunta. “Abbiamo organizzato in Casamance una serie di incontri, un meeting con tutte le parti, una marcia per la pace. Avevamo sulle magliette le scritte ‘Pace in casa nostra’ e ‘No alla violenza’, perché anche se siamo di lì, anche se chi combatte spesso è un nostro parente, quello che ci interessa è la pacifica convivenza”, ha detto tra le lacrime, con un forte senso nazionalistico e pacifista. Poi la propaganda per portare avanti tale processo di sensibilizzazione. “Abbiamo parlato alla radio locale. Alla fine degli incontri avevamo organizzato una bella festa”. Poi l’incubo: “Sono arrivati i soldati ribelli e hanno cominciato a sparare: è stata una strage”. Per Sarr è l’inizio della fine e comincia una nuova vita, tra paura e sospetto.

La fuga per la Libia

La fuga dal Senegal e l’arrivo in Libia. I ribelli sapevano chi fosse Sarr. In quella piccola comunità tutti sapevano dove abitava e chi erano i suoi parenti. Inevitabilmente, anche la loro vita è in pericolo. “Sono andato da mia madre e le ho detto: vai dallo zio che abita in un’altra città. Io devo scappare. Se non ti chiamo nei prossimi giorni, vuol dire che mi hanno ucciso”.

E’ cominciata così per Sarr una vera e propria odissea e la fuga verso l’Europa, con la speranza nel cuore e pronto a ricominciare una nuova vita, lontano dalle minacce incombenti. “In Africa non esiste uno Stato che garantisca quello che garantisce l’Europa. Ossia la libertà di pensare, di dire, di fare”, ha spiegato Sarr rendendoci forse un po’ più consapevoli di una realtà così distante da noi.

Io non me ne sarei mai voluto andare: il Senegal è la mia casa, lo studio era la mia ragione di vita”, ha confidato commosso. Ma comprensibilmente la vita è più importante di ogni altra cosa. Nella sua terra ero in pericolo. “Dovevo provare a salvarmi la vita”. E così vende le due mucche della madre e, con i pochi soldi racimolati, parte in direzione nordest. Comincia così il suo viaggio verso la speranza. Ma troverà l’orrore.

“Sono sempre stato in pericolo. Solo in Italia ho trovato un’altra vita“, ha rivelato. “Sapevo di dover arrivare in Libia e così ho attraversato il Mali, poi il Burkina Faso e infine sono giunto in Niger. Sono stati i primi tre mesi del viaggio”. Sarr lo chiama così, semplicemente “il viaggio”. Ma ogni volta che pronuncia questa parola, è come se fosse risucchiato dal profondo di un abisso che ha vissuto in prima persona.

Quel viaggio non è una pacchia

“Io posso provare a raccontarvi l’orrore che ho vissuto. Ma è impossibile per chiunque capire cosa sia stato. Ho visto gente impazzire, è difficile non andare fuori di testa. Troppe le cose brutte che ti accadono e che vedi intorno”. In Niger trova quello che cercava. I trafficanti di esseri umani fanno affari. Trovano Sarr, che racconta: “Ho incontrato i libici. Stanno lì per permetterti di attraversare il deserto e arrivare fino alle coste dove partirai per l’Europa. Mi hanno preso tutti i soldi che avevo e picchiato. Ero tutto gonfio per le botte ricevute, credevo di morire. Poi mi hanno caricato su di un pick-up scassato e siamo partiti per il deserto”.

Lì si assisteva a un confuso e vergognoso agglomerato umano. Esseri umani che avevano perso ogni forma di rispetto e dignità. Umiliati nella propria più intima essenza. “Donne, bambini, uomini, tutti ammassati insieme. Ho visto decine di mezzi ribaltati, con i cadaveri ancora sopra. Altri cadaveri sui pick-up fermi nel deserto. Gente morta di fame e sete perché nessuno l’ha aiutata“.

“Finalmente” in Libia

In Libia l’odissea del ventinovenne era solo agli inizi. “Ci spostavano da un rifugio all’altro, nel frattempo ci picchiavano, le donne venivano violentate. Qualche volta si riusciva a lavorare in qualche modo e ho messo da parte qualche soldo, circa 900 euro che mi sono serviti per il viaggio”. Il viaggio appariva interminabile: l’Italia era ancora lontana.

“Non so come sia stato possibile, ma alla fine, una notte, siamo arrivati su di una spiaggia. Era il 18 novembre del 2014. Davanti a noi c’era un mare grosso e agitato, ci fanno vedere una barca tutta rotta e ci dicono di partire. In molti urlano, cercano di scappare, non vogliono salire su quel rottame”, ha spiegato. “Siamo partiti, non so nemmeno quanti fossimo esattamente”. I trafficanti continuano nei loro macabri delitti. Le stragi si susseguono: “Sparano e uccidono tre ragazzi. Così, a sangue freddo, davanti ai nostri occhi.

Verso l’Italia

Il viaggio per mare è terribile. “Dopo due giorni sono ancora in balia delle onde, è autunno, le condizioni climatiche sono delle peggiori”, racconta meccanicamente come sfogliando quel diario di bordo tutto suo, tutto racchiuso nel suo cuore e nella sua mente.

Ad un certo punto sentiamo un rumore fortissimo: la barca si era rotta. A quel punto è scattato il panico. In molti si sono buttati in mare: sono tutti morti, li ho visti affogare. Per fortuna qualcuno aveva un telefono satellitare e dopo tre o quattro ore è arrivata una nave a salvarci”. Forse l’odissea verso la sua terra promessa era finita.

Si trattava della Guardia Costiera che prenderà in carico i superstiti. Le cronache parlano di un numero imprecisato di morti in quel naufragio. I corpi sono sepolti nel cimitero più grande del mondo. Il Mediterrano nasconde storie, sogni, segreti e speranze infrante. Nasconde corpi che talvolta riaffiorano. “Ora sono felice. Ma se avessi saputo a cosa andavo incontro partendo, sarei rimasto a rischiare la vita in Senegal. Lì avevo la mia vita, i miei affetti”, ha confidato commosso Sarr. “Mi piacerebbe tornare, ma non so se riuscirò mai a farlo”.

Forse sono in troppi, come Sarr all’epoca dei fatti, a non aver esattamente chiaro cos significhi intraprendere quell’ipotetico (e tanto auspicato) viaggio verso un’altra vita.

Il Paese dell’accoglienza

Dal Senegal a Taranto. La prima cosa che fa Sarr appena arrivato nel Centro di accoglienza della città pugliese è chiedere ad un connazionale la possibilità di usare il cellulare. Era l’unico cordone ombelicale con il loro mondo. “Ho chiamato mia mamma e le ho detto che ero ancora vivo” Commosso Sarr ha confidato: “E’ stata la telefonata più emozionante della mia vita. Durante il viaggio credevo che non sarei mai riuscito a farla”.

E’ il 2015. Sarr comincia il difficile percorso di integrazione nella società italiana. Sommerso in una realtà completamente differente da quella di provenienza, non è facile ambientarsi. Sei Il diverso per eccellenza. Lo sguardo storto dei passanti pesa come un macigno. Usi e costumi distinti. Tradizioni opposte, situazione socio-economica profondamente contrastante con quella a cui Sarr era abituato. Sprechi, superficialità, corruzione. Ma forse. Per lo meno in Italia regna la pace.

Parallelamente, Sarr dà avvio all’iter burocratico per regolarizzare la sua posizione, con la richiesta di permesso di soggiorno per protezione internazionale. “La prima volta è stata respinta, ma abbiamo fatto ricorso. Da poco, solo nel 2018, dopo oltre un anno e mezzo dall’appello, il giudice ha riconosciuto che potevo stare in Italia per motivi umanitari. Tornando a casa, rischio di essere ucciso ancora prima di mettere piede in Senegal”, ha spiegato. Un iter lungo e travagliato, in cui ha avuto il supporto di chi in Italia lo accoglie. Un periodo in cui la sua vita è stata sospesa tra la felicità di essere giunto in Italia, di poter cominciare una vita libera e la paura di dover tornare indietro. E magari intraprendere un altro viaggio verso il tormentato indefinito.

L’integrazione

Adesso l’integrazione procede benissimo. Un grazie all’efficienza della Casa di accoglienza straordinaria di Castellaneta Marina, in provincia di Taranto. Il merito è anche delle tante persone che ogni giorno si impegnano per dare un senso alle vite di chi ha rischiato la propria per arrivare qui da noi.

Oggi Sarr sta facendo passi da gigante. “La prima cosa che mi sono detto è stata: impara la lingua. Così con i primi soldi che ho guadagnato lavorando in campagna a raccogliere mandarini e pomodori, mi sono comprato un dizionario italiano-francese. Ogni parola che non sapevo, me l’andavo a leggere e così miglioravo”. In molti ammirano la sua tenacia. La perseveranza e il coraggio che lo hanno mai lasciato solo. Gli insegnanti che seguono Sarr vedono in quel ragazzo un futuro luminoso. Si impegna e fa progressi. Parla inglese, francese, italiano, un po’ di spagnolo e sta studiando anche il tedesco. “Una maestra ha detto che ero particolarmente bravo e mi ha dato la possibilità, nel 2015, di iscrivermi all’istituto alberghiero Mauro Perrone di Castellaneta Marina. Il prossimo anno frequenterò l’ultimo anno e mi diplomerò” ha detto con orgoglio.

Il viaggio è finito. Il futuro è quello di un ragazzo di 29 anni che ha un lavoro stabile e sta per completare il ciclo di studi. “Adesso che ho ricevuto il permesso di soggiorno devo lasciare il centro di Castellaneta Marina dove abito. Prima di tutto, devo sistemarmi. Ho un paio di mesi per cercare una casa tutta mia” , ha confidato con la stessa identica aria di un universitario che lascia la casa dei genitori per vivere da solo. Desideroso anche di metter su famiglia. Lui stesso lo ha dolcemente confidato.