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Coronavirus, cosa può imparare l'Italia dai suoi errori

Coronavirus, gli errori commessi in Italia

Secondo la Harvard Business Review, l'Italia ha commesso alcuni errori nella gestione dell'emergenza coronavirus che potevano essere evitati.

Secondo uno studio uscito per Harvard Business Review, l’Italia ha commesso diversi errori nelle gestione dell’emergenza sanitaria da coronavirus. Questi sbagli sono legati soprattutto a una sottovalutazione della situazione e dei rischi che la diffusione del virus portava con sé.

Lo studio ammette che ci sia una variabile non indifferente di pura “sfortuna“, cioè di cause di forza maggiore che hanno trovato il governo e i cittadini impreparati. Altri aspetti, però, dimostrano che si poteva fare meglio, soprattutto osservando gli altri paesi che più avanti di noi nella gestione dell’emergenza.

Dagli errori, però, si possono ricavare grandi lezioni, utili per guidare i passi del futuro.

Gli errori in Italia nella gestione dell’emergenza coronavirus

Il primo errore è stato di tipo cognitivo. Dopo i primi casi nel basso lodigiano in Lombardia e a Vò Euganeo in Veneto, c’è stato un’ondata di scetticismo da parte dei governi, che hanno sottovalutato l’entità del problema e che hanno creduto di poter fermare l’epidemia semplicemente isolando i comuni interessati, senza quindi prendere provvedimenti a livello regionale. Da questo errore di sottovalutazione sono nate le iniziative come MilanoNonSiFerma, sostenuta dal sindaco di Milano Giuseppe Sala, e gli aperitivi sui Navigli a Milano, zona del divertimento per eccellenza, a cura di Nicola Zingaretti (che qualche settimana dopo risulterà positivo al tampone per Covid-19).

Il primo errore di chiama confirmation bias, o pregiudizio di conferma: cioè la tendenza a focalizzarsi solo sui dati e gli argomenti che possono confermare la nostra tesi, escludendo a priori le altre. In questo caso, la tesi delle istituzioni era che il virus non potesse estendersi così rapidamente e che tutta l’allerta creata intorno al coronavirus fosse solo allarmismo. I dati degli altri paese, come Cina e Corea del Nord dimostravano il contrario.

L’errore delle soluzioni parziali

La seconda lezione che si può trarre da questa emergenza è di evitare le soluzioni parziali. In Italia le restrizioni sono state messe in atto gradualmente, anche se in un tempo limitato. Dal 22 febbraio (istituzioni delle zone rosse nei 12 comuni del basso lodigiano e di Vò) al 10 marzo (estensione della zona rossa a tutta Italia) si sono verificati episodi che hanno compromesso la buona riuscita di questi provvedimenti. Gli esodi dal nord al sud e le corse ai supermercati ne sono un esempio.

In altri tempi, commenta l’Harvard Business Review, questo approccio sarebbe stato giudicato saggio e corretto. Ma in tempi di emergenza e di fronte a un virus facilmente trasmissibile, questo approccio risulta lento e inadeguato.

La frammentazione del sistema sanitario in Italia

L’analisi di HBR si sofferma anche su un altro problema nella gestione dell’emergenza sanitaria da coronavirus: la frammentazione del sistema sanitario e la gestione quasi automa delle Regioni. Questo aspetto è evidente se si mette a confronto l’approccio della Lombardia e del Veneto nella gestione dell’emergenza.

Il Veneto ha scelto una strategia più sistematica, facendo tamponi al personale medico-sanitario, ai cittadini con sintomi e ai familiari o colleghi delle persone positive. Quando non possibile, si è ricorso all’auto-isolamento domiciliare. Inoltre gli ospedali sono stati organizzati con percorsi separati per pazienti Covid e non Covid. La Lombardia invece ha scelto di fare meno tamponi e solo a chi mostrava sintomi gravi riconducibili al coronavirus. Questo approccio non ha permesso di monitorare il contagio e isolare più precisamente e per tempo le persone potenzialmente contagiose.

L’approccio veneto si è dimostrato vincente e la Regione al momento sta riuscendo a contenere i contagi e gli ospedali a supportare tutti i pazienti in arrivo. Nonostante questo, la Lombardia non sembra cambiare approccio, prendendo come esempio il suo vicino.

Coronavirus, gli errori sulla raccolta dei dati

Un altro problema individuato da HBR riguarda le modalità di raccolta, analisi e diffusione dei dati. All’inizio dell’epidemia, a gennaio, le strutture sanitarie non avevano mezzi per riconoscere le polmoniti sospette come conseguenza del nuovo coronavirus. Questo ha sicuramente viziato la conta dei contagi iniziali, oltre ad aver messo in pericolo il personale sanitario e non.

I numeri del contagio oggi, invece, risultano disomogenei perché non esiste un coordinamento regionale sulla loro raccolta. Questo fa sì che, una volta messi insieme i numeri delle varie regioni, si crei un quadro nazionale imparziale, che soffre della mancata coerenza della raccolta dati.

La mancanza di dati coerenti, insieme agli altri errori commessi in Italia nella gestione dell’emergenza coronavirus, rendono difficile formulare analisi epidemiologiche affidabili.