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Coronavirus, la testimonianza di Mattia, il paziente 1 di Codogno

Mattia, il paziente 1 di Codogno: "Mi sento fortunato"

Mattia racconta la sua vicenda: dal ricovero fino alla guarigione, passando per il momento in cui ha scoperto di essere il paziente 1 di Codogno.

Mattia Maestri, il paziente 1 di Codogno, racconta in una lunga intervista a Sky TG24 questi ultimi mesi. Tutto inizia a febbraio, con febbre e sintomi influenzali, trattati in quanto tali. Al pronto soccorso gli prescrivono un antibiotico e lo rimandano a casa. Ma le sue condizioni di salute peggiorano e Mattia decide di tornare in ospedale, dove questa volta ci resta, grazie all’intuizione di Annalisa Malara, medico anestesista insignita del premio Rosa Camuna. I medici decidono di trasferirlo in terapia. Si risveglierà dopo un mese, guarito, senza sapere che nel frattempo l’Italia stava affrontando una crisi sanitaria e socio economica. Adesso Mattia si sente fortunato, si gode sua figlia Giulia e sogna di tornare presto a fare sport.

Mattia, il paziente 1 di Codogno

Mattia ha 37 anni ed è una persona attiva che pratica sport. Quando viene ricoverato in ospedale, il 17 febbraio, chiede all’infermiera, scherzosamente, se potesse essere coronavurs; e l’infermiera risponde in dialetto lodigiano: “Il coronavirus Cudogn ‘ Ensa’ nianche addu sta”, e cioè ‘il coronavirus non sa neanche dove sta Codogno’. Quello che è successo dopo, ormai, lo sappiamo: Codogno è stata la prima zona rossa d’Italia e focolaio del coronavirus.

Mattia è stato ricoverato per polmonite, e solo una volta sveglio gli hanno spiegato che in realtà aveva preso il coronavirus. Solo al risveglio ha capito la gravità della situazione, e si è sentito fortunato. Sempre al risveglio ha scoperto che anche la madre, il padre e la moglie incinta avevano contratto il virus. Si sono salvati tutti, tranne il padre, che purtroppo non è riuscito a guarire. Il pensiero della figlia in arrivo, Giulia, è stato quello che l’ha tenuto in forze: “Mi sono addormentato con questo pensiero. E appena prima che mi addormentassero, proprio perché ancora non si sapeva che era Covid, ho avuto la possibilità di incontrare Valentina. Mi ricordo di aver accarezzato il suo pancione e di averle detto che avrei fatto di tutto per tornare. E ce l’ho fatta”.

Mattia definisce questo periodo come un film, con un lieto fine: “La mia malattia, la mia guarigione, il fatto che sia mia madre che mio padre che Valentina si siano ammalati (mia madre e Valentina sono guarite, mio papà non ce l’ha fatta) e poi la nascita di Giulia, tutto concentrato in un mese e mezzo scarso, è una cosa da film, forse anche di più di un film. Però il lieto fine con la nascita di Giulia c’è. E tutto il resto l’ho voluto mettere in secondo piano”.

L’insegnamento più grande e i sogni per il futuro

L’insegnamento più grande di questa esperienza per Mattina è l’imprevedibilità della vita. Si sentiva invincibile: 37 anni, sportivo, sano, vita all’aria aperta, e invece ha preso il coronavirus, una malattia grave che ancora non si sa come curare. Questa esperienza gli ha lasciato ” la consapevolezza di quanto sia imprevedibile la vita: da avere una vita perfetta, lavoro casa famiglia sport amici, a poter perdere tutto in un istante. Per me ora è importante godere di tutto come se fosse l’ultimo giorno“.

Adesso Mattia sogna di riprendere presto a fare sport. Il suo fisico adesso è debole per il lungo ricovero, ma i medici sono fiduciosi per la sua ripresa. Le conseguenze sul corpo si vedono e, oltre alla debolezza, restano le cicatrici: sulle ginocchia (per la posizione prona), sul viso e sul collo. Ma a Mattia non interessano: “Sono felicissimo, grazie soprattutto alla mia famiglia speciale e all’arrivo di Giulia. Per il domani voglio solo continuare così e tornare alla mia vita di prima, a quella di tutti i giorni, allo sport, al calcio. Vorrei che tornassimo a vivere come eravamo abituati prima”.