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Muoiono tutti (non a stento)

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Avicii, David Bowie, Prince... Ogni giorno un grande musicista ci lascia. E vai con i messaggi di cordoglio sui social. Ma quanto ce ne frega davvero?

Siamo fatti così. Siamo portati per nostra natura a porci al centro dell’universo e di conseguenza a guardare al mondo, alla vita, a tutto quanto, a partire da noi, in maniera assoluta. Per questo, fateci caso, ogni estate è l’estate più calda, ogni inverno il più freddo, o per andare un po’ meno in superficie, qualsiasi argomento riguarda il sociale è in maniera allarmante oggetto di incredibili record. Il maggior numero di atti di violenza sulle donne, l’emergenza immigrazione, il bullismo nelle scuole ormai diventato endemico.

Stiamo guardando all’oggi e al noi dentro quest’oggi in maniera poco obiettiva. Come in effetti può capitare di fare se si tende a guardare troppo vicino.
Con questo, ci mancherebbe, non si vuole sminuire la portata dei casi indicati, tutti assolutamente allarmanti, ma i fatti ci dicono che i casi di violenza sulle donne sono in diminuzione, che siamo uno dei paesi europei con meno migranti, che il bullismo c’è sempre stato, solo che prima non c’erano le chat di Whatsapp o Youtube in cui condividere i video. Del resto non passa giorno che non si parli di come la nostra alimentazione, e più in generale il nostro modo di vivere sia poco sano, con scarsa attenzione allo sport e cibi sempre meno “naturali”, ma di fatto l’età media si è alzata assai da quando la gente mangiava per forza di cose a chilometro zero.

Ora, tutto questo per dire cosa? Per dire che probabilmente anche l’argomento che stiamo per affrontare è frutto di questa attitudine a guardarci troppo da vicino, e che quindi se fossimo sulla Luna tutto questo ci sembrerebbe semplicemente il normale corso della vita, ma sta di fatto che, ultimo in ordine di tempo il Dj e produttore svedese Avicii, morto in Oman a soli ventotto anni, sono ormai tre, quattro anni che stiamo assistendo inermi alla decimazione dei protagonisti del mondo dello spettacolo, della musica in particolar modo.

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E siccome chi scrive queste parole, cioè io, di musica scrive e di musica vive, il constatare che non passi non dico giorno, ma settimana, che non venga a mancare, bruttissima espressione, uno dei protagonisti del mondo musicale, diventa un poco inquietante.

Proviamo però a essere analitici. Distanti, quindi, poco coinvolti emotivamente.

La musica leggera, il rock nello specifico, è abitato da personaggi che non conducono esattamente una vita nei canoni. Eccessi, si tende a dire, vizi, avrebbero detto in passato. Sia come sia, è abbastanza normale, in ambienti come quelli della musica, l’uso di sostanze stupefacenti e di alcool e una promiscuità sessuale non esattamente attenta. Insomma, una condotta di vita che presenti assai più rischi di quelli di chi il rock si limita ad ascoltarlo. Poi, chiaro, chi nella vita è artista, va detto, non sta in catena di montaggio, né in miniera con un canarino dentro una gabbietta a dirgli se si è in presenza di grisù, ma anche farsi di droghe e praticare sesso non sicuro fa correre rischi notevoli, conveniamone. Questo, nel corso dei decenni, ha portato alla prematura scomparsa di grandi protagonisti del genere, inutile fare un triste elenco. Di fatto i più grandi miti del rock, da Jim Morrison a Jimi Hendrix, passando per Janis Joplin, Brian Jones e tanti altri, davvero troppi, sono morti giovani, spesso non per incidente stradale o per malattie incurabili. Molti di più, però, sono i protagonisti di questa scena a essere sopravvissuti. Uno guarda a Keith Richards e Mick Jagger, tanto per fare due nomi, e subito pensa a una vita vissuta ad alta velocità, sempre oltre il limite. In realtà, stiamo nel campo delle leggende metropolitane, ma le leggende metropolitane spesso dicono grandi verità, da anni i due conducono vita impiegatizia, andando avanti ad acqua minerale e cibi sani, zero droghe, perché l’idea di vivere velocemente e morire giovani è figa da cantare, un po’ meno da mettere in atto.

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Il fatto che però in tanti siano sopravvissuti ha fatto sì che siano invecchiati tanti artisti che, in gioventù, hanno comunque minato il proprio fisico, fatto che ha portato a una sorta di conto salato presentato dal destino. Dopo il Club 27, che si è preso praticamente tutti i nomi su citati, ma che ha continuato andando poi a pescare anche artisti più contemporanei, si pensi a Amy Winehouse, è arrivato il momento del Club Over 70, coi vari David Bowie, Lou Reed, Malcolm McLaren, a pagare in vecchiaia quanto fatto in gioventù. Il tutto, va detto, unito a un progressivo assottigliamento delle file dei miti musicali, fatto che fa deflagrare la notizia della scomparsa dei miti rimasti, sempre meno, con molto più clamore.
Proprio pochissimi giorni fa è stato il secondo anniversario della morte di Prince, a volte nevica anche ad Aprile, morte, ricordiamolo, dovuta a un’overdose di antidolorifici. Ecco, lui che in realtà non era affatto nel Club Over 70 ha lasciato quello che in genere viene definito come un “vuoto incolmabile” nel mondo della musica. Perché oggi, è un fatto, non c’è un nuovo Prince, e non si leggano queste parole come quelle di un passatista che brontola per la pochezza della musica attuale, ma come chi si limita a constatare un fatto incontrovertibile.

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Assenza di nuovi miti e morte, in molti casi, da Avicii a Chris Cornell, a Chester Bennington, morte prematura, dei pochi miti rimasti. Questo mix ci ha lasciati e ci lascia giorno dopo giorno, notizia dopo notizia, sgomenti, come quando ci muore un parente, un amico caro, qualcuno con cui siamo in tale confidenza da avergli affidato, seppur a sua insaputa, nostri segreti personali che faticheremmo a raccontare realmente a qualcuno, le nostre emozioni.
Ad amplificare il tutto, ce ne fosse bisogno, i social network, che da una parte hanno sostituito le agenzie di stampa, e quindi divulgano realmente alla velocità della luce queste notizie assai prima che arrivi la conferma ufficiale, dall’altra danno vita, scusate il triste gioco di parole, a una sorta di corsa al necrologio più personale. Così tutti lì a parlare di cosa Tizio dovrebbe insegnare agli angeli, a mettere in piazza aneddoti personali, in cui il morto illustre spesso nulla c’entra, se non indirettissimamente, a postare video o link streaming che, nei fatti, nessuno si sarebbe sognato di condividere se Tizio fosse ancora serenamente tra noi. Vedere certi artisti anche di grandissimo valore tornare in vetta alle classifiche, almeno per un giorno, dopo la loro morte è forse più triste ancora che saperli morti, perché puzza di ipocrisia pelosa lontano un miglio.
Una soluzione a tutto questo ovviamente non c’è. Domani morirà qualcuno di importante. Continueremo a scrivere e leggere necrologi tutti uguali agli altri, spesso copiati da Wikipedia. Continueremo a vedere tanti video condivisi, anche con emozione. Leggeremo, questa una deriva ancora più fastidiosa, tanti che prenderanno le distanze da chi piange il morto, perché sottolinearlo sui social appare solo gesto naif di chi vuole ergersi a ruolo di essere superiore al comune sentire. Archivieremo il tutto in attesa del prossimo morto. Morto che arriverà, perché è vero, stavolta, che i cantanti muoiono con molta più frequenza. Perché la vita che i cantanti continuano a condurre è sempre oltre la linea rossa del rischio, e ogni tanto qualcuno paga più caro degli altri. Perché il successo è un brutto animale da addomesticare, e seppur qualcuno giustamente azzardi che i soldi aiutino a vivere, è pur vero che non è certo nei soldi che si trova la felicità. Perché la musica leggera ha un passato più importante, ci sono tanti artisti che sono invecchiati, settant’anni di rock ‘n’ roll mica regalano l’immortalità.

Ecco, una soluzione ci sarebbe. Smettetela di morire, artisti famosi che ci avete regalato e continuate a regalarci emozioni (anche post-mortem). Diventate immortali, fatelo per noi. Vi promettiamo che ascolteremo le vostre canzoni anche senza bisogno di invocare gli angeli e senza scrivere RIP, Youtube non paga praticamente niente, ma almeno sarete vivi per riscuotere quei pochi spicci di SIAE.