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Il silenzio assordante dopo gli spari: nessuno parli dopo la strage di Latina

strage Latina 1

Due bambine tolte alla vita, una madre distrutta, una cittadina in ginocchio. Dopo la strage di Latina tutto ciò che rimane è il silenzio.

Sono passate due settimane da quando Luigi Capasso ha sparato alla moglie e ha ucciso le sue due figlie. Per due settimane le voci si sono rincorse: alla voce di Antonietta Gargiulo, che ha chiamato aiuto mentre sanguinava nel seminterrato della sua abitazione, si sono aggiunte quelle dei colleghi che hanno tentato per ore di convincere Capasso a lasciar andare le bambine tenute in ostaggio; alla voce del Ministro degli Interni e del Comandante Provinciale dei Carabinieri, che hanno espresso il cordoglio e il rammarico di una nazione, si sono aggiunte quelle dell’avvocato e della psicologa di Antonietta, che stanno tentando con ogni sforzo di aver cura di una donna a cui è stato tolto tutto.

E cosa rimane dopo il fiume di parole scritte negli esposti che qualcuno ha preso con troppa leggerezza? Cosa rimane delle parole che hanno riempito e riempiranno i fascicoli d’inchiesta sulla strage di Cisterna?
Il silenzio assordante di Antonietta Gargiulo, di 39 anni. Moglie vedova e madre orfana di figli.

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Antonietta: due minuti a occhi chiusi

Fin dal momento in cui Antonietta Gargiulo è stata ricoverata nel reparto di terapia intensiva del San Camillo di Roma, è rimasta nel silenzio indotto dall’anestesia. Le sue ultime parole, prima che arrivassero i sedativi a tenerla al riparo dal dolore, sono servite a smascherare le intenzioni omicide di suo marito e a indirizzare i primi soccorsi verso le figlie, prigioniere di un uomo che aveva smesso da tempo di essere loro padre.

Dal momento del ricovero fino a quando il team di psicologi ha stabilito che fosse giunto il momento di dirle la verità, cioè l’8 marzo, Antonietta è rimasta in sedazione profonda.

Quando i medici l’hanno risvegliata dall’anestesia, la donna era circondata dai familiari, dai medici e dalle due psicologhe che la seguiranno costantemente per un lungo periodo.

L’anestesista le ha spiegato i motivi per cui era ricoverata in ospedale e Antonietta, battendo le palpebre, è riuscita a comunicare che ricordava gli ultimi avvenimenti che aveva vissuto. E’ intervenuta poi una delle psicologhe, che ha deciso di guidare immediatamente la sua paziente verso la consapevolezza che Alessia e Martina erano morte. Per quanto possa apparire crudele questa scelta, il team di specialisti che ha in cura Antonietta ha dovuto adottare quella che ha ritenuto una misura necessaria: il fine dei medici era accelerare il più possibile l’accettazione del lutto e il superamento del trauma, dal momento che uno stato di agitazione, dettato dall’incertezza sulla sorte delle sue figlie, avrebbe certamente peggiorato lo stato di salute di Antonietta, già enormemente compromesso dai tre proiettili che l’avevano colpita.

Secondo il racconto dei testimoni, Antonietta è rimasta in silenzio e ad occhi chiusi per oltre due minuti, impossibilitata a parlare a causa dell’anestesia e della recente operazione alla mandibola. La mano sinistra stringeva spasmodicamente il lenzuolo: l’urlo più straziante a cui potrà mai essere costretta una madre impotente. Per evitare che uno stress eccessivo ne compromettesse la ripresa, i medici hanno dovuto provvedere a sedare la paziente. Il giorno seguente ci sarebbero stati i funerali di Alessia e Martina.

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Il silenzio dei bambini

Martina e Alessia, rispettivamente otto e tredici anni e mezzo, frequentavano la terza elementare e la terza media. Al funerale i parenti e gli amici hanno deciso di portare palloncini bianchi e rosa e di indossare magliette con i loro nomi. Avrebbe potuto essere una festa, se non fosse stato per il silenzio.

Gli insegnanti dei compagni di scuola di Alessia e Martina hanno incoraggiato i propri alunni a scrivere biglietti e a creare cartelloni per ricordare le due bambine. I due banchi hanno finito per essere pieni di peluche e di rose bianche.

I bambini hanno avuto reazioni diverse. Quando è stata comunicata loro la notizia, i più piccoli sono rimasti muti, addolorati, costernati. Soltanto uno di loro, racconta una maestra, ha osato rompere il silenzio e chiedere:“Perché?”

Non è stato possibile formulare alcuna risposta e non lo sarà mai. La maestra ha stretto il bambino in un abbraccio e sono rimasti in silenzio insieme.

I bambini più grandi erano arrabbiati, con la violenza tipica della prima adolescenza. Una rabbia sorda e muta, anch’essa incapace di trovare parole giuste.

“Pregate per il padre”: il silenzio all’omelia

Il cattolicesimo è la religione del perdono e soprattutto nella pratica del perdono si identificano i cattolici più ferventi, come lo è stata Antonietta per tutta la vita. Mentre medici, psicologi e insegnanti svolgevano il proprio compito, lo faceva anche il parroco che ha celebrato il funerale di Alessia e Martina Capasso: durante l’omelia, recitata in una chiesa gremita e al cospetto delle due bare bianche, il sacerdote ha deciso di guidare i propri fedeli verso il più difficile insegnamento di Cristo:“Preghiamo per il padre di Alessia e di Martina”. All’invito del parroco l’assemblea è rimasta in silenzio. Nessuno ha pregato, ma nessuno ha contestato l’omelia: soltanto un brusio di imbarazzo e di costernazione si è sollevato dall’assemblea dei fedeli anche se nessuno ha ribattuto pubblicamente alle parole del sacerdote, Don Livio Fabiani.

Terminate le esequie Don Fabiani ha voluto fare due dichiarazioni alla stampa: la prima è che la famiglia Capasso ha perdonato Luigi, la seconda è che addirittura Antonietta ha perdonato suo marito, da quello stesso letto d’ospedale dove soltanto poche ore prima stringeva il lenzuolo nella mano.

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La dignità

Si può davvero perdonare così rapidamente un uomo che ha smembrato una famiglia? La domanda è legittima, ma non è giusto che qualcuno la ponga ad alta voce. Il dolore è intimo, così come lo sono la sua accettazione e il perdono di chi lo ha causato.

Quello che invece tutti hanno il diritto di chiedere è cosa ha imparato l’Italia dalla strage di Cisterna di Latina. L’intera vicenda, come ha ammesso il Ministro Minniti, è costellata di troppe sottovalutazioni, di misure preventive esistenti ma non attuate, di leggerezze amministrative e umane, di troppe parole non ascoltate.

Nella dignità del silenzio risiede l’unica eredità lasciata da Luigi Capasso. L’Italia, le madri e le figlie degli uomini italiani, non hanno bisogno di parole inascoltate, di scuse prive di sostanza né di promesse fatte al vento: hanno bisogno di fatti.

E i fatti, soprattutto quelli davvero significativi, non hanno alcun bisogno di parole. Se qualcuno chiedesse a Gabriele Vitagliano, Comandante Provinciale dei Carabinieri di Latina, per quale motivo le forze dell’ordine non hanno fatto nulla pur avendo ricevuto esposti e segnalazioni in merito alla situazione psicologica di Luigi Capasso, probabilmente oggi rimarrebbe in silenzio. Resta soltanto da sperare che domani, in una situazione simile, chi ne ha il dovere faccia qualcosa.