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Morte di Chester Bennington, dalle violenze subite da bambino all'amicizia con Cornell

Chester Bennington

Chester Bennington, dalle violenze subite da piccolo all’amicizia con Cornell: ecco chi era il cantante dei Linkin Park che si è ucciso

In una recente intervista Chester Bennington, leader del gruppo rock dei Linkin Park, aveva raccontato dei “demoni che si era lasciato alle spalle”. Il ragazzino di Phoenix ha spiegato come una parte consistente della sua paga come commesso al Bruger King fosse reinvestita in cocaina e metanfetamine. Aveva poi raggiunto il successo nel 2000 grazie al primo album Hybrid Theory.

Chi lo conoscenza oltre i suoi successi metal e pop, poteva scorgere dietro quella grinta apparente una tristezza assoluta, un male di vivere, un’ombra lunga che si rifaceva a un passato ingombrante e tragico. Il leader dei Linkin Park da bambino era infatti stato ripetutamente violentato da un amico più vecchio di lui. Ma aveva avuto paura di chiedere aiuto. Per questo era passato a usare ogni tipo di sostanza stupefacente durante l’adolescenza per baipassare ansia e dolore. In quello stesso periodo fu coinvolto anche in altri eventi traumatici. Tra questi il divorzio dei suoi genitori e gli episodi di bullismo a scuola di cui era stato vittima. Dopo i 30 anni la dipendenza si era poi trasformata nell’abuso di alcool, in coincidenza del successo del grande pubblico.

Chester Bennington, un passato difficile e un animo lacerato

Suo padre era un investigatore della polizia di Phoenix, mentre la madre era infermiera. Bennington era cresciuto con il mito dei Depeche Mode e aveva iniziato molto presto a scrivere testi per le sue prime canzoni. Che poi erano state incise in seguito con i Grey Dazenei nei primi anni novanta. Nell’ottobre del 2000 avvenne poi lo storico debutto dei Linkin Park con Chester Bennington grazie al successo del loro primo album, Hybrid Theory. La quinta traccia del disco d’esordio è la famosa Crawling, una vera e propria sintesi travagliata dello stato d’animo mai rimarginato di Bennington. Nel brano Chester quasi urla nel microfono la sua “mancanza di autocontrollo”, le insicurezze, le “ferite che non guariscono”. Proprio a detta del cantante, il pezzo risultava essere per lui uno tra i più complicati da riprodurre nei live.

Chester Bennington era anche grande amico di Chris Cornell. Il recente suicidio del collega leader dei Soundgarden l’aveva sconvolto ogni misura. Aveva preso parte ai suoi funerali, cantando con grazia una commovente versione unplugged di Hallelujah di Leonard Cohen. Prima gli aveva anche scritto una lettera in sua memoria. Spiegando come il collega lo avesse ispirato e augurandogli pace nella sua prossima vita. Bennington lascia sei figli, nati da due mogli: Samantha Olit e la playmate Talinda Bentley, sposata nel 2006.