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App IO e Immuni, siamo disposti a sacrificare la privacy per 150 euro ma non per la salute

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Siamo disposti a far tacere il nostro spirito critico per la promessa di una furbesca elemosina statale, ma non per il benessere collettivo.

Ho scaricato l’app Immuni, ma non scaricherò IO. Il motivo è semplice: sono disposta a sacrificare la mia privacy (o presunta tale) per la mia salute, e per quella degli altri, non per una furbesca elemosina statale. Poco importa che sia presentata al pari di un intelligente programma di rimborsi sugli acquisti con pagamenti elettronici (in fondo stiamo parlando del 10% del transato, per un massimo di 150 euro).

A quanto pare, però, la maggior parte degli italiani non condividono questa posizione. Solo nell’ultima settimana, l’app IO ha collezionato più di un milione e mezzo di download (7 milioni in tutto), oltre 5 milioni e 800mila utenti hanno navigato nell’app, 1.900 sono state le operazioni contemporanee al secondo, e oltre 324.000 i nuovi strumenti di pagamento aggiunti.

Insomma, numeri da record che ci raccontano molto del nostro presente: siamo disposti a far tacere il nostro spirito critico per la promessa di qualche centinaia di euro, ma la polemica esplode quando l’oggetto del disquisire è destinato al benessere collettivo (e il suo non utilizzo comporta un fallimento per tutti).

Dopo quattro mesi dall’uscita è del tutto superfluo sottolineare come Immuni si sia rivelato un flop, tanto da scomparire prima dalle maglie della comunicazione promozionale dunque istituzionale. A scaricarla è stato meno del 19% della popolazione italiana (circa 10 milioni di download), i casi individuati sono stati solo 6200 (81mila le notifiche inviate a chi è entrato in contatto con i positivi); clamoroso il caso della Campania: a utilizzarla solo un cittadino su 10.

Se credete che questi siano solo dati, sbagliate: questi sono strumenti per comprendere come trionfi ancora la buona, vecchia regola del buffet: quando a una presentazione di un libro o a un vernissage è associato un rinfresco si creano file incredibili, se invece c’è da godere esclusivamente della proposta artistica il medesimo successo non è (affatto) garantito. In modo più modesto, forse dovremmo smettere di incolpare i politici di trattarci come degli stolti e, più semplicemente, ammettere che stolti siamo. Il nostro animo seguita a essere legato alle aspirazioni plebee del panem et circenses; forse troppi millenni hanno forgiato le nostre molli, limitate ambizioni, e oggi non c’è aspirazione né soluzione di salvezza.

Il paradosso Immuni-IO ci racconta dunque come la diffidenza del nostro Paese nei confronti della tecnologia si sciolga solo attraverso la bieca moneta. E rivela, in controluce, l’arretratezza locale in cui sopravviviamo. Quasi che il pachiderma Italia abbia rinunciato a mostrarsi credibile sul piano informatico. Un esempio? I numerosi crash che hanno supportato questi mesi da pandemia, quali il sito dell’Inps in blocco e colpevole di aver rivelato migliaia di dati sensibili (1 aprile 2020), ma anche il click day in crash legato al bonus vacanze o al ridicolizzatissimo appuntamento del bonus bici.

Non c’è da sorprendersi, dunque, se analizzando l’indice di digitalizzazione dell’enonomia e della società (DESI) del 2020, recentemente diffuso dall’Unione Europa, il nostro Paese sia al 25esimo posto (su 28). Insomma rispetto a connettività, capitale umano, uso dei servizi internet, integrazione delle tecnologie digitali e servizi pubblici siamo migliori solo di Romania, Grecia e Bulgaria. Qualcosa vorrà dire, no? Evidentemente non abbastanza da obbligare il Governo a riflettere apertamente sul problema, e a monitorare meglio i tentativi di portare nel 2020 l’Italia.

Per inciso, i problemi di programmazione hanno drammatizzato anche l’esordio dell’app IO: complicazioni a registrare le carte di credito (con relative valanghe di insulti online e di recensioni negative), #cashbackdistato che diventa trending topic (e non per motivi positivi), discussioni interminabili con utenti che passano notti in bianco per registare la propria carta di credito in un sistema infelice.

Ecco, ma è così difficile fare una cosa che funzioni in questa Italia? È così complesso riuscire a creare una narrativa che non sia quella dell’epopea nazionale (perfino per le piccole, informatiche cose)? In fondo, cerchiamo di essere un po’ più modesti: una app non è il ponte sullo Stretto.