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La felicità è una scelta, Sara Melotti: "Ascolta la tua voce e segui la scintilla che senti dentro"

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Sara Melotti, storyteller e fotografa già autrice del discusso articolo "Instagram created a monster", presenta in un'intervista a Notizie.it il suo primo libro "La felicità è una scelta".

È un attacco a chi, soprattutto in Italia, sconsiglia di intraprendere la carriera artistica perché è poco remunerativa e non garantisce il posto fisso. La vita non è quello che ci mettono in testa: nasci, paga i conti e muori. C’è molto, molto di più“. Era il 2018 quando Sara Melotti – storyteller, fotografa, blogger e molto altro – mi parlava così del libro che si preparava a scrivere. Tre anni dopo, La felicità è una scelta (edito da Piemme con postfazione di Emma Bonino) è realtà e con le sue 288 pagine regala un prezioso “dietro le quinte” della sua vita, nel viaggio – reale e interiore – che le ha insegnato ad ascoltare la propria voce e a trovare sempre il coraggio di seguirla, ovunque essa ci porti.

Intervista a Sara Melotti

Sei una storyteller, da anni racconti te stessa e il mondo attraverso tanti linguaggi diversi (la fotografia, il blog, il videoreportage) ma è la prima volta che ti metti tanto a nudo in un’autobiografia. Com’è stato e cosa ti ha spinta a scrivere La felicità è una scelta?

Ho scritto questo libro in parte per rispondere a una domanda che mi viene fatta spesso: “Come hai fatto ad arrivare dove sei adesso e a fare quello che fai? Come posso farlo anche io?”. La gente si aspetta una specie di formula magica, quando invece il percorso per arrivare dove sono adesso è stato estremamente complesso, una storia in cui si mescolano caso, fortuna, sfortuna e molto altro. L’ho scritto per far capire che dietro la facciata della “vita perfetta” c’è tutto un mondo. Sentivo il bisogno di essere ancora più aperta e trasparente su temi che finora non avevo ancora trattato, come il matrimonio, anche per poter chiudere un capitolo e cominciarne un altro.

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Nel libro scrivi: “Morto un sogno se ne fa un altro”. In pochi anni hai intrapreso diversi percorsi e carriere, cambiando direzione per seguire il tuo cuore e la tua coscienza. Una svolta particolarmente importante è stata quella che ti ha portato ad abbandonare la fotografia di moda dopo quel primo “crack” davanti alla modella 14enne in pose troppo provocanti per la sua età. Se potessi parlare ora a quella ragazza, cosa le diresti?

Più che dirle qualcosa, vorrei farle delle domande. Le chiederei perché si sente in dovere di porsi così sul set, come si sente, cosa si prova a essere nei suoi panni. Vorrei capire chi è. Ho imparato che i giudizi non portano a niente e che è sbagliato assumere qualcosa di chi abbiamo davanti senza sapere cosa c’è dietro.

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Quello che traspare dal tuo libro e in generale dalla tua esperienza è la grande passione-ossessione (tu stessa la definisci così) per quello che fai. Ma quanto è labile il confine tra passione e ossessione? Come si fa a capire quando un sogno diventa pericoloso?

Per me raccontare storie e riuscire a emozionare attraverso questi racconti è una missione, è quasi più importante di me e credo sia il motivo per cui sono al mondo. Per questo spesso metto in secondo piano tutto il resto. Bisogna però saper distinguere tra passioni sane e passioni malsane. Le seconde ti portano a trascurare te stesso e gli altri, ti rendono infelice. Se invece stai bene, se ti senti in armonia, allora lascia che la tua passione diventi un’ossessione.

C’è anche chi invece fa fatica a trovare una spinta così forte. Come si fa a capire qual è la propria “vocazione”?

Per prima cosa bisogna decondizionare il proprio pensiero da quello degli altri e concentrarsi su quella che io chiamo “la voce”. Poi bisogna imparare a stare in silenzio e mettersi nelle condizioni di sentire davvero quello che si desidera. Infine, segui la tua curiosità. Se ti trovi davanti a qualcosa che ti piace, prova, buttati, non fossilizzarti su una cosa sola. Se mi fossi fermata alla danza, non avrei mai scoperto la fotografia; se mi fossi fermata alla fotografia di moda non avrei mai scoperto il viaggio e il reportage. Segui la scintilla che senti dentro e lascia che ti porti dove devi andare.

In questo viaggio seguendo la “scintilla”, hai dovuto combattere a lungo anche contro la cosiddetta sindrome dell’impostore. Come si supera – se si supera – questa paura che nasce dalla convinzione di non meritare quello che ottieni?

È un timore che accompagna un po’ per tutta la vita soprattutto chi fa un la lavoro creativo. Avere insicurezze è normale, l’importante è non farsi bloccare da queste. Bisogna zittire la voce che ci dice “non sono in grado, non sono nessuno” e dire “io ci provo comunque, poi vediamo quello che succede“.

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Il libro si apre e si chiude a febbraio 2020 con la scalata al Kilimangiaro, alla fine di un percorso di rinascita e poco prima dell’inizio del primo lockdown. Nell’anno successivo è cambiata la realtà di tutti, a maggior ragione della tua che hai fatto del viaggiare e del raccontare storie il tuo lavoro. Come hai superato questo periodo di staticità forzata?

Ammetto che è stata dura, non me la cavo bene con la quotidianità. Ma poteva andare molto peggio. La mia psicologa e la scrittura mi hanno salvato e impedito di impazzire. Poi, con le prime riaperture, sono riuscita ad andare per un breve periodo in Portogallo. Ho ricominciato a viaggiare seriamente con l’Iraq.

Adesso hai altri viaggi in programma?

All’orizzonte c’è un viaggio in Afghanistan, un Paese che voglio visitare da tantissimo. Poi probabilmente andrò in Messico per un progetto sul miele.

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Sono passati diversi anni da quando hai scritto “Instagram created a monster”. Da allora tante cose sono cambiate, anche a causa della pandemia che ci ha costretti a spostare la nostra vita sempre più verso il mondo virtuale. Come sono cambiati i social dal 2017 a oggi?

Se prima il problema erano i bot e gli influencer che imbrogliavano per guadagnare follower e far apparire perfetta la propria vita, ora il problema è la polarizzazione e la distorsione della realtà, in particolare dalla morte di George Floyd e dall’esplosione del movimento Black Lives Matter. Ora tutti si comportano da “attivisti da tastiera” e si richiudono in bolle fatte di gente che la pensa per forza come loro, finendo per credere che quella sia l’unica realtà. Si finisce per pensare non con la propria testa ma con quella dell’influencer di turno, autocensurandosi.

Non pensi che chi ha molto seguito possa sfruttarlo a fin di bene, per portare alla luce e sensibilizzare i propri follower su temi socio-politici importanti?

A quello che dicono sui social, però, non segue un’azione concreta. Tutti si dichiarano attivisti ma quella online non è la vita vera: la vita vera è quella che ho visto nei campi dell’Iraq. Instagram, poi, non consente di approfondire a sufficienza tematiche importanti e complesse: l’unica cosa che si può fare è opinionismo. Ma lo fanno perché è davvero la loro missione o solo perché porta popolarità?

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“La felicità è una scelta”, scrivi nel titolo del libro. Oggi sei felice?

La felicità non è costante, puoi essere felice adesso e tra due ore succede qualcosa che ti fa tornare in crisi. L’importante è aspirare a essere felice, non cadere dell’autocommiserazione, non dare la colpa agli altri ed essere grato per le cose che hai invece di disperarti per quello che non hai. Punta a migliorare, a diventare la versione migliore di te, ma sempre con gratitudine per quello che sei. Se sai chi sei, se sai cosa vuoi, se sai che stai facendo il meglio che puoi con quello che hai allora puoi essere felice, anzi, contento.